Le modalità di comunicazione terapeuticamente efficaci hanno lo scopo di approfondire la relazione; queste tecniche sono:
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Ascoltare. L’ascolto è la condizione di base per qualunque rapporto terapeutico. “Si tratta di un processo attivo di attenzione all’altro, al quale viene dato sufficiente tempo e spazio per esprimersi” (Bonino, 1988). Un buon ascolto implica una comunicazione rigorosamente congruente, in cui la comunicazione non verbale sottolinea l’atteggiamento di ascolto (dalla postura all’espressione del volto e alla disposizione nello spazio). Anche i silenzi sono importanti e vanno tollerati; essi sono una pausa in cui si aspetta che la persona superi le proprie difficoltà e le resistenze ad esprimersi. Bonino sottolinea: “Il messaggio globale che un atteggiamento di ascolto comunica è: lei è una persona che vale, il suo problema è importante, ed io sono pronto a dedicarle tempo”.
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Riformulazione. Consiste nel ripetere alla persona assistita ciò che si ritiene sia il suo pensiero principale che lui stesso ha voluto esprimere. Permette all’assistito di ribadire il suo messaggio ed eventualmente di chiarificarlo.
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Rispecchiamento. Ha lo scopo di aiutare la persona ad analizzare meglio i propri pensieri e le proprie emozioni rispetto ad un problema.
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Chiarificazione e verifica consensuale. Si chiede conferma del messaggio inviato; può riferirsi sia alla totalità del messaggio (chiarificazione) sia ad un singolo aspetto (verifica consensuale). Il messaggio che viene in questo modo dato all’assistito è che si vuole approfondire ciò che ci sta dicendo.
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Focalizzazione. Consiste nel riportare il discorso su un argomento che, dall’insieme del colloquio, si valuta sia importante per la persona.
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Riassumere. Alla conclusione di un colloquio è utile riepilogare e puntualizzare gli aspetti più importanti emersi dal dialogo.
Per quanto riguarda invece le modalità di comunicazione terapeuticamente inefficaci, queste sono, secondo Bonino (1988):
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Non saper ascoltare.
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Formulare giudizi. L’approvare e il disapprovare comunica un messaggio di superiorità dell’operatore sanitario e di speculare inferiorità dell’assistito.
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Dire frasi di incoraggiamento. Si tratta di frasi banali, che servono in realtà a rassicurare chi le dice, mentre di fatto negano i bisogni della persona assistita e le impediscono di esprimerli.
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Risposte stereotipate. Danno una comunicazione di disinteresse e di superficialità.
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Cambiare argomento. Frasi di rifiuto. Sono modalità di comunicazione utilizzate a scopo difensivo dall’operatore, per proteggersi dall’ansia.
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Frasi difensive. Impediscono alla persona assistita di esprimere le proprie opinioni e anche le proprie critiche, hanno uno scopo direttamente ed anche indirettamente difensivo.
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Uso di un linguaggio tecnico che è assolutamente incomprensibile per la persona assistita, la quale, pur assentendo, se ne va senza aver colto la comunicazione che le è stata inviata.
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Presenza di fonti di distrazione, sia interna che esterna: se le fonti esterne di distrazione (rumore, caldo, ecc.) sono più facilmente obiettivabili, le fonti di distrazione interna (ansia, preoccupazione per altri motivi, ecc.) sono rilevabili dalla comunicazione non verbale.
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Diversi riferimenti ideologici e normativi tra gli interlocutori: questo inconveniente si verifica soprattutto quando si affrontano temi, quali la contraccezione e l’aborto, a forte rilevanza emotiva, morale e religiosa. Quando i sistemi di valori sono molto differenti, il dialogo può rivelarsi impossibile.
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Interferenze inconsce: queste, se gravi, possono rendere impossibile la comunicazione, e perciò la relazione. Ad esempio, alcuni operatori sanitari dichiarano di non poter lavorare con il malato psichiatrico, a causa dell’angoscia che questi suscita in loro, mentre altri non riescono a tollerare la sofferenza dei bambini, o il rapporto con il morente.