Il lutto, se circostanziato nel tempo, è una fase normale, non psicopatologica in relazione a una perdita; viene considerato patologico quando si manifesta con sintomi depressivi dopo i 2 mesi dalla perdita, il che significa che nei primi 2 mesi, benché una persona possa avere un appetito e un sonno ridotto per esempio e un umore costantemente triste, non presenta alcun disturbo psichico. Questo dato può contrastare con la tendenza di alcuni medici a prescrivere psicofarmaci immediatamente e non facilita un percorso di elaborazione del lutto che significa accettazione della tristezza presente in sé.
Riferendosi all’elaborazione del lutto relativo alla propria morte, per prima Kubler Ross, ne “La morte e il morire”, ha stabilito la presenza di cinque fasi corrispondenti all’utilizzo di altrettanti meccanismi di difesa. Tali meccanismi, se adeguatamente elaborati, sono funzionali ad affrontare la realtà del morire in modo consapevole anche se non necessariamente sereno.
Le fasi del lutto sono:
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Shock / negazione
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Rabbia
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Patteggiamento
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Depressione
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Accettazione
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Shock / negazione
“No, io no, non può essere vero!”
La risposta iniziale del malato alla presa di coscienza di avere una malattia inguaribile può essere un temporaneo stato di shock e di negazione. Il rifiuto di accettare questa situazione genera un’ansia più o meno intensa a seconda delle modalità con cui il paziente è stato informato, del periodo che gli rimane da vivere e delle sue risorse di coping. Il rifiuto è un passaggio obbligato, di durata variabile, che permette di prendere tempo per trovare coraggio per affrontare la situazione e anche di chiamare a raccolta altre difese.
Kubler-Ross ritiene utile parlare della morte e del morire con i malati prima che la cosa stia realmente avvenendo in quanto un individuo sano e forte può utilizzare al meglio le sue risorse di coping. Occorre riconoscere il momento in cui il malato è pronto per prendere atto della situazione e allo stesso tempo permettergli di fantasticare quando preferisce far progetti guardare a qualcosa di più vivace e piacevole: in questo modo potrà affrontare la morte pur conservando la speranza.
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Rabbia
“Perché proprio a me?”
In questo stadio i malati proiettano la collera in tutte le direzioni e in particolare sull’ambiente che li circonda, mostrandosi ingrati ed esigenti. Spesso i caregiver si lasciano colpire profondamente da queste critiche e fanno fatica a capire l’origine del risentimento. Perché la rabbia possa attenuarsi, occorre dedicare attenzione e tempo al malato, facendolo sentire ancora una persona importante, curata, cui si permetterà di essere attiva finché potrà.
- Patteggiamento
“Perché adesso?” “Sì io, ma tra un po’”
Il malato riconosce per la prima volta ciò che gli sta capitando, ma, di solito sotto forma di preghiera anche nei non credenti, contratta e si illude di potersi accordare con Dio per rimandare la propria dipartita. Il morente promette di impegnarsi a far qualcosa in cambio del prolungamento della vita; è come se chiedesse una tregua per avere il tempo di mobilitare tutte le risorse a disposizione per affrontare la propria morte.
- Depressione
Il malato comincia ad avere sintomi o a divenire più debole o più magro, per cui non può più negare la sua malattia e non vede via d’uscita. Con grande tristezza e frustrazione sperimenta fino in fondo la propria impotenza e ritiene che nessuno sia in grado di comprendere la sua tragedia, per cui rischia di chiudersi a livello comunicativo e affettivo e di isolarsi.
Il malato si sente depresso, oltre che in modo reattivo rispetto alle perdite organiche e funzionali (es.: peso, seno per la donna), anche in modo preparatorio rispetto alla perdita di tutte le cose e le persone che ama. Stare vicino al malato significa spesso essere presenti anche nel silenzio per non ostacolare la preparazione emotiva alla morte.
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Accettazione
Se un malato supera le fasi precedenti, può raggiungere uno stadio nel quale potrà guardare la sua prossima fine senza sentirsi né arrabbiato né depresso. Il malato ha finito di lottare e trova un po’ di pace, talvolta desidera essere lasciato solo e riposarsi prima di affrontare la morte. Anche in questa fase è importante che egli abbia accanto i propri cari anche nel silenzio, sapendo che gli saranno vicini sino alla fine.
In tutte le fasi rimane viva la speranza: nella scoperta di una nuova medicina o nella possibilità di cure particolari; in questo modo il malato può trovare il coraggio per riuscire a superare i momenti più difficili. Riuscire a condividere la speranza con il paziente è molto importante, significa far sì che non si senta abbandonato, ma appoggiato e confortato.
“Nella misura in cui ho vissuto, posso permettermi di morire. Se considero la mia vita insufficiente, scialba o sfortunata, non voglio lasciarla; insisto a vivere di più, per avere più opportunità o occasioni, che di fatto non ho. Se riesco, invece, a pacificarmi con la mia vita, se posso salutarla, perdonarla e amarla, allora posso separarmi dalla vita sanamente e con soddisfazione. Per ottenere ciò devo perdonarmi gli sbagli che ho commesso, apprezzarmi, ringraziarmi per le cose che mi sono dato, accettare quello che non può essere ormai cambiato, abbracciare me stesso e darmi una mano per far fronte alla più grossa perdita: la mia morte.” (B. Simmons)
Riferimenti bibliografici
– B. Simmons: VIVERE E’ SEPARARSI, in “Le separazioni nella vita”. Cittadella, Assisi 1985
– E.Kubler Ross: LA MORTE E IL MORIRE. Cittadella, Assisi, 1982.