Già prima della nascita i genitori proiettano sul figlio tutta una serie di aspettative su quale sarà il suo aspetto, a chi assomiglierà, su come sarà il suo carattere, ecc., delineando il cosiddetto “bambino fantasmatico”.
Tali aspettative verranno ovviamente disconfermate dalla nascita e i genitori si inizieranno a sentire spiazzati di fronte a comportamenti imprevedibili (“ma come mai fa così?”, “perché piange?”).
Nonostante questo, i genitori continueranno a riporre sui figli aspettative che possono nascere dal confronto con la propria esperienza e dal desiderio che i figli possano non attraversare le steses difficoltà incontrate dai genitori e vivere felici. Il problema è che così i genitori stabiliranno quale sarà la strada per la felicità dei propri figli e rischieranno di confondere il mezzo (ad es. avere un “buon lavoro”) con il fine (essere felici).
Il problema si pone quando i genitori sono più insicuri emotivamente e hanno bisogno di avere la conferma del loro valore come genitori attraverso il successo del figlio. Nella mia esperienza, questo diventa particolarmente evidente quando i genitori sembrano tenere più dei figli al loro risultato scolastico, come se il voto fosse un giudizio sulla loro capacità genitoriale, il che comporta un eccessivo coinvolgimento dei genitori nell’impegno scolastico dei figli (ad es. quando fanno i compiti con loro anche alle superiori) e un’eccessiva pressione sui figli.
Alcuni figli cercano di soddisfare le aspettative dei genitori piuttosto che i propri bisogni e così diventano come i genitori desiderano sviluppando il falso sé (Miller, 1996).
Questo può essere il caso dei bambini prodigio, dotati di una capacità empatica e di una sensibilità sopra la media, che per soddisfare le aspettative dei genitori, non esprimono i loro bisogni infantili.
Questi bambini imparano che solo così solo così potranno garantirsi la vicinanza e l’affetto die genitori, sacrificando però la loro personalità autentica, e tenderanno anche da adulti a dipendere dall’approvazione e dalle conferme degli altri.
Miller, 1996: “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”