Prima dell’edizione del DSM V che lo riconosce come disturbo a sé stante all’interno dello spettro ossessivo – compulsivo, il Disturbo da Accumulo è stato classificato prima come tratto del Disturbo Ossessivo – Compulsivo di Personalità (DSM III), poi come possibile manifestazione del Disturbo Ossessivo – Compulsivo.
Nel DSM V il Disturbo da Accumulo viene quindi definito come una “persistente difficoltà a gettare o separarsi dai propri beni, a prescindere dal loro valore reale”, “dovuta a un bisogno percepito di conservare gli oggetti e al disagio associato a gettarli via” (tanto che, in caso di sgombero forzato, è elevato il rischio di suicidio), che “produce un accumulo che congestiona e ingombra gli spazi vitali e ne compromette sostanzialmente l’uso previsto” (spesso le cose sono conservate in disordine).
Quasi sempre è accompagnato da un’acquisizione eccessiva (anche se non necessariamente tramite acquisti); spesso l’insight è scarso e il disturbo è egoosintonico: gli individui affetti ritengono che il comportamento non sia problematico e che le motivazioni per cui non gettano oggetti siano valide legandole ad es. a motivazioni etiche (es. contro la cultura dell’ “usa e getta” tipica del coonsumismo).
Probabilmente i soggetti affetti da tale disturbo instaurano con molti oggetti lo stesso tipo di legame che ciascuno di noi ha con alcune cose particolarmente significative: gli oggetti, una volta posseduti, acquisiscono proprietà psicologiche o un significato affettivo oppure, se due oggetti sono stati in contatto tra loro, sviluppano uno speciale legame tra loro, per cui l’uno prende qualche caratteristica dell’altro (contaminazione magica); questo rende difficile buttar via tali oggetti perché diventano un pezzo di sé, della propria storia o di qualcuno significativo.
Spesso viene accumulato materiale contenente informazioni come giornali, libri e carta, foto e video, oggetti – ricordo, ma anche vestiti (spesso mai utilizzati) e animali (come nel caso delle “gattare”).
Il disturbo è caratterizzato quindi da 3 comportamenti principali:
1. acquisizione eccessiva
2. difficoltà a separarsi dagli oggetti
3. dificoltà nell’organizzazione dei propri oggetti (disordine).
Ciascun comportamento viene motivato in qualche modo.
1. L’acquisizione, che può avvenire tramite shopping compulsivo, acquisizione di materiale gratuito e raramente furti, viene spiegata da frasi come:
– “mi sembrava uno spreco lasciare lì tutto quel materiale senza che venisse letto”
– “potrebbero essere utili un giorno”
– “costavano troppo poco per non comprarli”
– “ho paura di dimenticare se non conservo tracce (es. foto digitali: fotografare ogni momento della vita)”
– “mi faceva pena lasciarli lì, abbandonati”.
2. Il non disfarsi degli oggetti può essere legato a:
– paura di perdere ricordi del passato
– attaccamento affettivo
– ritenere uno spreco buttarli via
– aver bisogno di tempo per decidere cosa buttare.
3. Il disordine, che potrebbe essere legato a un deficit nei processi cognitivi (ad es. di attenzione o di presa di decisione) o a una difficoltà a categorizzare, viene giustificato con frasi come:
– “ho bisogno di tempo per catalogare”
– “ho appena ordinato dei raccoglitori”.
L’accumulo può comportare conseguenze molto gravi come:
– ingombro della casa
– rischi sanitari o di mancanza di sicurezza nella casa (incendio, crollo del pavimento)
– isolamento sociale (spesso, vergognandosi del disordine, queste persone non fanno entrare nessuno in casa; inoltre vengono lasciate dai partner, che non le tollerano più)
– conflittualità nei rapporti
– problemi legali e finanziari (debiti, danni alle proprietà immobili, pagamento di affitti per box o cantine per conservare oggetti).
Ne soffre tra il 2 e il 5% della popolazione: inizia nell’infanzia (in cui può avere manifestazioni diverse) o nell’adolescenza e peggiora dopo i 40 anni.
Il peggioramento può essere preceduto da perdite o separazioni o da momenti di difficoltà economica; tali soggetti subiscono nella vita più eventi traumatici, ma tendono a non sviluppare un Disturbo Post Traumatico da Stress, per cui l’accumulo potrebbe essere utilizzato come modalità di coping.